Bari, la storia dell'industria dolciaria Sica: quella che fu definita la "Perugina del Sud"
Letto: 29923 volte
giovedì 2 dicembre 2021
Letto: 29923 volte
di Giancarlo Liuzzi
La “Società Italiana Caramelle e Affini” venne fondata negli anni 20 come semplice negozietto, per poi trasformarsi nel tempo in una vera e propria fabbrica con fatturato a sei zeri. I suoi battenti chiusero negli anni 70 a causa di una pesante crisi finanziaria, ma il suo nome risuona ancora oggi nei ricordi di tanti baresi.
«Mio padre la domenica mi comprava sempre le sigarette di cioccolato», rammenta Marinella. «La confezione del panettone era davvero particolare: si trattava di un prisma esagonale azzurro raccolto con un nastro color oro», commenta Luciano. «Impossibile dimenticare i graziosi piccoli cestini di latta con decori floreali ricolmi di caramelle», dichiara Antonio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una storia, quella della Sica, che tra annate di enorme successo, fallimenti e drammatici episodi, pare la trama di un film. Noi abbiamo avuto la fortuna di apprenderla dalle memorie del torinese Attilio Germano, colui che diresse l’industria per oltre 15 anni, nel periodo del suo massimo splendore. Pagine di scritti personali forniteci dal figlio Bruno e dal nipote Michele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tutto quindi ebbe inizio nel 1922 con un negozietto al civico 4 di via Roberto da Bari aperto da Emendina Bruni con l’aiuto del patrigno Domenico De Toma, ricco commerciante di vini. Cioccolatini e caramelle riscossero subito un gran successo, complice pure lo scarso numero di negozi simili in città.
Nel 1927 il laboratorio si spostò al piano terra di Palazzo Stoppelli, in corso Cavour n.40. A decidere il trasferimento fu il leccese Ugo Quarta, che nel frattempo aveva sposato Emendina, la quale però prima di morire prematuramente sentenziò che nelle mani del marito l’attività sarebbe fallita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mai parole furono così vere. Dopo aver costituito la società Sica e inaugurato diversi negozi, le manie di grandezza di Quarta lo portarono infatti al fallimento dopo solo due anni. Evento che causò anche il suicidio di uno dei suoi soci. Gli esercizi vennero riaperti solo grazie al provvidenziale pagamento dei debiti da parte di un comproprietario torinese, il quale però ritrovatosi successivamente sul lastrico si tolse la vita gettandosi nel Po.
La Sica fallì nuovamente e a quel punto Quarta chiese aiuto all’Unica di Torino (la più importante industria dolciaria d’Italia) la quale, interessata all’investimento nel Meridione, assicurò sia le forniture che il denaro utile a saldare il concordato. Chiese però la nomina di un proprio direttore di fiducia che vigilasse sull’attività.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Fu così che nel 1930 ebbe inizio il mio lavoro a Bari – scrive Attilio Germano –. Non fu facile prendere le redini di un’impresa “squalificata”, ma non mi perdetti d’animo». Vennero quindi riallestiti i negozi e nel 1931 i bilanci tornarono finalmente in attivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma purtroppo, incredibilmente, la società fu dichiarata fallita per la terza volta nel 1933. Questa volta i problemi finanziari derivarono dalle azioni di De Toma che, ancora socio della ditta, si giocò il patrimonio della Sica in borsa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’Unica convocò quindi Germano con la proposta di acquisire in proprio l’azienda, convinti che sarebbe riuscito a rilanciarla. «Ero senza una lira – sottolinea Germano -. Non avevo il denaro neanche per comprare il modulo della cambiale che dovevo versare per la firma della proprietà. Fu grazie al prestito di alcune suore che riuscii a raggiungere la somma necessaria».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il 3 marzo 1933 Germano divenne titolare della Sica e nello stesso mese i negozi riaprirono con una fornitura di cioccolato utile a confezionare 10 quintali di uova di Pasqua per l’immediata festività. «Si trattava di far resuscitare un morto, anzi tre volte morto - racconta Attilio -. Ma avevo tanta fiducia e, lavorando dalle 7 di mattina alle 11 e mezza di sera, riuscimmo in solo un mese ad allestire le vetrine».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’attività riprese a marciare e in quell’anno venne differenziata la produzione. Insieme alle praline, i boeri, le goccioline, ritornarono i “baci Sica”. Questi ultimi erano nati negli anni 20 e leggenda vuole che abbiano ispirato i famosi baci della Perugina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel 1934 la produzione di uova di cioccolato raddoppiò e venne aperto un nuovo punto vendita in via Niccolò dell’Arca ad angolo con piazza Umberto. In quello stesso anno la Sica allestì uno stand all’interno della Fiera del Levante per promuovere i suoi prodotti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Altra svolta arrivò nel 1936, quando venne avviata la produzione dei gelati da passeggio. Si trattava di forme rettangolari di crema chantilly ricoperta da cioccolato fondente. «Li chiamai “Sicilia” perché la formula del ripieno era siciliana – racconta Attilio –. Li smerciavamo allo stadio, sui treni e per le strade delle città. Il prezzo era di una lira al pezzo e ne distribuivamo fino a 4000 al giorno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fino ai primi anni 40 il successo continuò. L’azienda nel frattempo si era anche dotata, oltre ai piccoli laboratori in ogni negozio, di un proprio stabilimento in via Vaccaro dove lavoravano 30 operai. E gli incassi annuali sfioravano i 7 milioni e mezzo di lire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sicuro ormai di aver raggiunto la stabilità economica, Germano decise di dedicarsi alla politica, trascurando l’andamento dell’impresa. Il personale, approfittando dell’assenza del titolare, iniziò però a rubare le merci dai magazzini gravando ovviamente sul bilancio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il proprietario fece quindi entrare altri soci tra cui Mincuzzi e Ferdinando Boccia (titolare dell’omonima pasticceria), per gestire al meglio l’attività. La cosa funzionò e Germano potè quindi proseguire il suo impegno politico, fondando il patronato Acli a Bari nel 1944 e diventando nell’aprile del 1945 consultore nazionale della DC e successivamente membro dell’assemblea costituente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel 1946 il laboratorio di produzione della Sica venne spostato da via Vaccaro in un terreno tra via Re David e via Postiglione (dove oggi sorge il Provveditorato agli studi). Per completare l’operazione si unì il signor Banfi, che finanziò l’operazione di costruzione dei locali tecnici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli stessi anni l’azienda, che produceva già il liquore Cordial caffè, decise di potenziare questo ramo. Germano cedette così parte delle sue quote anche a Vito Brandonisio, professore di chimica, esperto del settore degli alcolici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con tutti i nuovi ingressi però l’organizzazione divenne più problematica. Mincuzzi aprì uno stabilimento Sica a Milano che si rivelò un totale insuccesso e vennero inaugurati nuovi e non indispensabili esercizi commerciali. In poco tempo la Sica accumulò 47 milioni di debiti e fu nuovamente a un passo dal fallimento. Attilio però grazie a un finanziamento di 100 milioni ricevuti da un fondo di investimento riuscì a salvare l’impresa e gli oltre 300 dipendenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nonostante ciò Germano cominciò a perdere potere e dopo varie rivalutazione dei capitali si trovò ormai escluso dall’amministrazione della società che aveva “creato” e salvato più volte. Negli anni 50 decise così di comprare alcuni terreni su via Fanelli dove impiantò dei capannoni e costituì la IB (Industrie Baresi) dedita sempre alla produzione di cioccolata, la quale però ebbe vita breve.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel 1957 cedette il tutto alla Ferrero, che però rimase lì solo per un paio d’anni. La succursale barese della celebre fabbrica della Nutella fu quindi abbandonata e da allora giace inutilizzata nel giardino di un condominio situato tra via Fanelli e viale Einaudi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel frattempo la Sica con i nuovi azionisti conquistava sempre più il mercato e il suo grande stand della Fiera del Levante (dove venivano offerti i “Pandolce” assieme ai bicchierini di liquore Sica) faceva concorrenza a quello dell’Aida e dell’Alemagna. Negli anni 60 la maggior parte dei panettoni e uova di Pasqua venduti in Puglia erano creati dall’impresa barese.
Ma la storia dell’industria stava per terminare. Negli anni 70 nonostante contasse 800 operai all’attivo, arrivò infatti la crisi che portò a scioperi, licenziamenti e riduzione delle produzioni. E infine i soci decisero di chiudere definitivamente, non prima di aver ricevuto un’allettante offerta per l’acquisto del suolo su cui sorgeva lo stabilimento di via Re David.
Fu così messa fine all’epopea della Sica, di cui oggi non rimangono che “zuccherosi” ricordi. Una decina d’anni fa un bar di via Putignani ne riprese il nome, cercando di far rivivere l’ormai lontana tradizione dolciaria. Ma purtroppo anche questo negozio è scomparso, cancellando ogni traccia di quella fabbrica che fu gloriosamente definita la “Perugina del Sud”.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- antonio arky - ricordo ancora le magnifiche grandi vetrine in Via Sparano, dopo piazza San Ferdinando, lato sx andando verso il Corso, c'era una commessa molto "dolce" che aggiungeva sempre qualcosina per il "p'ccninn" che puntualmente ringraziava, imbonitore!
- Lorenzo Di Fonzo - Ancora oggi mi pare di sentire il profumo della cioccolata e del caffè, sotto i portici della Madonnella.
- Luciano De Chirico - Mio padre è stato il Maestro di pasticceria dello stabilimento di via Redavid, che forniva i negozi della città e della provincia, dal 1958 al 1965. Il suo caro amico Enzo Angelini guidava il reparto cioccolato che produceva le "Promesse" praticamente identiche ai "Baci" e le uova di Pasqua. Ricordo bene anch'io il panettone di ottima fattura racchiuso nella scatola azzurra con le bordature e le scritte color oro, a forma di prisma esagonale. Anche la bottiglia del liquore di Caffè Sica era particolare ed inconfondibile.
- Francesco C. - Salve, a tutti e alla Redazione,Posso solo raccontare, che io sono nato in Via Postiglione che era ad angolo con via Re David, ha lavorato in questa industria mia zia, e ricordo che mi raccontava proprio de questi famosi dolcetti "Promesse"e di quante uova di cioccolata che produceva per non parlare del Panettone,è mi ricordo che mio padre mi diceva, che noi vivevamo in una casa, che si scopri poi che era un ala magazzino del complesso della Sica, inglobata nelle costruzioni dei due palazzi, E ricordo che ho giocato nel ormai rudere edifico abbandonato della Sica o dei resti che ne comprendeva, con gli stampini in metallo che utilizzavano per la produzione di molte forme di dolci, e con i rotoloni delle confezioni Celesti dei panettoni ..............Che Storia....
- massimo ricciardiello - Ho una bottiglia lasciata da mio padre con dentro il LIQUORE CORDIAL CAFFE' SICA unito ad un orokogio di marca kAISER MADE IN GERMANY ancora funzionante.
- Luciano De Chirico - Nei primi anni '60 un incendio distrusse il negozio di piazza Madonnella: si salvarono parte delle decorazioni in legno che racchiudevano bassorilievi in bronzo. Furono vendute al personale singolarmente al prezzo di mille lire. Anche mio padre ne acquistò qualcuna ed una di queste è in casa mia.
- Vito - Sono il figlio della fu signora Lupelli Lucrezia che x anni ha lavorato in tutti i bar della SICA e ricordo bene tutti i prodotti golosi che c'erano e mangiavo e delle confezioni di pregio artistico come le porcellane di capo di monte x finire col buonissimo vov Bei tempi davvero
- Paolo Clemente Moro - Mia madre, De Luca Maria Margherita, è stata direttrice artistica della SICA, e da voi non viene citata